
Theodor Adorno, nella Dialettica dell’Illuminismo (1947), osservava che la razionalità moderna, quella che avrebbe dovuto liberare l’uomo dall’ignoranza e dalla necessità, si è progressivamente trasformata in un nuovo strumento di dominio.
La “ragione strumentale”, cioè quella che valuta ogni cosa in base alla sua utilità, all’efficienza e al profitto, ha finito per ridurre l’essere umano e la natura a semplici mezzi, non più a fini.
Da questa trasformazione nasce un paradosso: più la società si organizza in modo razionale, più i suoi effetti complessivi appaiono irrazionali. Abbiamo costruito tecnologie raffinatissime, capaci di migliorare la vita in modi un tempo inimmaginabili, ma spesso le utilizziamo per distruggere la stessa vita che dovrebbero proteggere.
L’Occidente è oggi una macchina perfettamente funzionante, ma priva di una direzione consapevole. Non si interroga più sul “perché” funzioni, su “per chi” funzioni, o sul “dove” stia andando.
Il risultato è un mondo iper-razionale dal punto di vista tecnico, ma profondamente irrazionale dal punto di vista etico, sociale e ambientale.
Il cambiamento climatico rappresenta forse la manifestazione più evidente di questa contraddizione: sappiamo con esattezza scientifica quali siano le cause del disastro ecologico e possediamo gli strumenti per invertire la rotta, ma continuiamo a procedere come se nulla fosse.
È la logica della produzione che prevale su quella della sopravvivenza, dell’immediato tornaconto che soffoca la responsabilità verso il futuro.
Se la ragione ha perso la sua finalità emancipatrice, forse la vera sfida del nostro tempo è restituirle un senso umano: far sì che il progresso non sia solo un moltiplicatore di mezzi, ma anche una riflessione sui fini.
